ANSA – Berlusconi a Napolitano: ‘Ok impegni Ue, poi dimissioni’

ROMA – Silvio Berlusconi non ha più la maggioranza alla Camera. I numeri sul rendiconto dello Stato approvato oggi dall'aula di Montecitorio, solo perché le opposizioni hanno deciso di non partecipare al voto, parlano chiaro: 308 voti a favore dell'esecutivo contro 321. Quota a cui arriverebbero tutte le opposizioni più i frondisti della maggioranza che oggi non si sono presentati a votare. Un risultato che lascia pochi margini di manovra al premier che, dopo un vertice a palazzo Chigi, si reca al Quirinale e dopo un faccia faccia con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano garantisce che annuncerà le dimissioni subito dopo il varo della legge di stabilità. La road map che il Cavaliere ha in mente, e che annuncia in diverse interviste televisive, conferma quanto ripetuto ai suoi fedelissimi nei giorni scorsi: "Dopo di me vedo solo le elezioni, il Parlamento è paralizzato", mette in chiaro il capo del governo precisando però che "la scelta è nelle mani del Capo dello Stato". Nessuna ipotesi viene scartata si spiega dal Quirinale. Nella nota con cui la presidenza della Repubblica spiega i contenuti dell'incontro con Berlusconi, si precisa tra l'altro: "una volta che il presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato, il Capo dello Stato procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione". Insomma, per Napolitano ogni soluzione è aperta, anche l'ipotesi di un altro governo nel caso ci fosse una nuova maggioranza pronta a sostenerlo.

L'idea di un esecutivo tecnico, magari affidato a Mario Monti, così come un governo guidato da un altro esponente del Pdl (Letta o Alfano sono i nomi che circolano da ormai diverso tempo) viene bocciata dal Cavaliere così come dallo stato maggiore del partito: "Dopo Berlusconi, qualunque altra opzione, senza Berlusconi premier non sarebbe fattibile né accettabile nel rispetto del mandato elettorale del 2008", precisa Altero Matteoli. Stesso ragionamento che fa Maurizio Lupi: "L'unica soluzione è il voto anticipato". L'obiettivo del capo del governo sarebbe quella di arrivare allo scioglimento delle Camere per poi andare al voto proponendo come candidato premier il segretario del Pdl Angelino Alfano. Un progetto che avrebbe ricevuto l'ok della Lega Nord che vede col fumo negli occhi lo spettro di un "governissimo" guidato da un tecnico come Monti con l'appoggio di tutte le opposizioni e di una fetta consistente del Pdl. E questo anche perché la preoccupazione che attanaglia il partito di via dell'Umiltà, dopo le defezioni dei frondisti, è quella di "una vera e propria emorragia" di parlamentari pronti ad accettare un esecutivo di transizione per evitare le urne. Disponibile a tale soluzione è il leader del Pd Pier Luigi Bersani. Il segretario democratico chiede che il capo del governo acceleri la formalizzazione delle dimissioni e rilancia l'ipotesi di un esecutivo tecnico. Pollice verso invece all'opzione Letta o Alfano: "Non sarebbe transizione ma continuazione", mette in chiaro. Ipotesi condivisa anche dal Terzo Polo. Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini chiama in causa direttamente il Cavaliere: "Sono convinto che Berlusconi abbia la consapevolezza che la situazione economica e finanziaria dell'Italia non ci consente una lunga ed estenuante campagna elettorale". Chi evita di cantare vittoria è il leader dell'Idv Antonio Di Pietro preoccupato che Berlusconi possa mettere in atto "l'ormai famoso mercato delle vacche" recuperando i malpancisti come fece l'anno scorso sulla mozione di sfiducia del 14 dicembre.

TERMINATO VERTICE CON BERLUSCONI A P.GRAZIOLI – Si è concluso a palazzo Grazioli il vertice di maggioranza con il premier Silvio Berlusconi. Gli ultimi a lasciare la residenza romana del premier sono il segretario Angelino Alfano e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.Avevano già lasciato la residenza Umberto Bossi e Giulio Tremonti, i ministri Maroni e La Russa, i capigruppo del Pdl Gasparri e Cicchitto e quelli della Lega Reguzzoni e Bricolo, oltre al coordinatore del Pdl Denis Verdini.

PREMIER: ORA ELEZIONI. NAPOLITANO: DECIDO IO DOPO VERIFICA 
di Federico Garimberti

ROMA – Silvio Berlusconi annuncia a Giorgio Napolitano che si dimetterà una volta approvata la legge di stabilità promessa all'Europa, ma chiede "elezioni subito". Il capo dello Stato, Costituzione alla mano, lo stoppa, non intende anticipare i tempi e vuole seguire l'iter previsto in caso di crisi: consultazioni e verifica di maggioranze alternative. In sostanza vuole avvalersi di tutte le prerogative che gli concede la Carta. In questo senso il comunicato diffuso dal Quirinale dopo il faccia a faccia di questa sera con il presidente del Consiglio non lascia spazio a dubbi. Sulla strada delle urne, inoltre, si mettono di traverso anche le opposizioni: l'Udc di Pier Ferdinando Casini in particolare e Pier Luigi Bersani che, pur preferendo le urne, non potrebbe dire nò ad un governo di larghe intese, magari guidato da un tecnico come Mario Monti. Dopo lo schiaffo di Montecitorio, il capo del governo si riunisce con i vertici del Pdl e della Lega. Ripete che la strada maestra è quella del voto e sottolinea che in Parlamento nessuno ha la forza per sfiduciare la maggioranza. Per il resto Berlusconi ascolta le proposte e i suggerimenti di ministri e dirigenti.

Più di qualcuno torna a suggerirgli la soluzione già prospettata qualche sera fa nell'interminabile vertice a palazzo Grazioli: annunciare le dimissioni, ma solo dopo il varo delle misure promesse all'Europa. Quando lascia la sede del governo per salire al Colle, l'impressione della maggior parte dei presenti è che non abbia alcuna intenzione di rimettere subito il mandato. Di fronte all'ipotesi prospettata da Napolitano di ritornare a Montecitorio per verificare se abbia o meno la fiducia del Parlamento, però, Berlusconi deve riconoscere di non avere più una maggioranza alla Camera. E così mette sul piatto l'escamotage studiato per tentare di sbarrare la strada a governi alternativi: dimettersi dopo il varo del pacchetto anti-crisi. Un modo per guadagnare tempo, ma che di fronte al pressing dei mercati e dell'Europa, il capo dello Stato non può non prendere il considerazione. In cambio, però, il Quirinale certifica gli impegni presi da Berlusconi, a cominciare dal quello di dimissioni formali. Promessa formalizzata nella nota, nella quale si ribadisce che qualsiasi decisione sul 'dopo' sarà presa al termine delle consultazioni, "dando massima attenzione alle posizioni di ogni forza politica", di maggioranza e di opposizione. Berlusconi, però, anticipa già la sua posizione: andare al voto quanto prima. E nel farlo lancia la candidatura di Angelino Alfano come possibile candidato premier del centrodestra. Indiscrezione che trova diverse conferme, ma che – secondo alcuni – potrebbe essere solo una mossa tattica. Ma il premier con i fedelissimi si sbilancia: voteremo a febbraio e Alfano sarà il nostro candidato.

Sulla strada del voto, però, non mancano gli ostacoli. Perché se è chiaro che con il rinvio delle dimissioni il Cavaliere tenta di stoppare la formazione di governi alternativi, è altrettanto vero che non sono solo le opposizioni a dire no alle elezioni anticipate. A cominciare dalla Lega dove la posizione di Umberto Bossi – favorevole al voto subito – pare non coincida con quella di Roberto Maroni. Ma anche nel Pdl non mancano dubbi. In tanti, anche per il timore di una ricandidatura del Cavaliere (oltre che per lasciare alle opposizioni l'onere di varare la manovra correttiva che l'Europa starebbe già chiedendo), ritengono infatti che sarebbe meglio un "passaggio all'opposizione" per riorganizzare il partito e consentire ad Angelino Alfano di rafforzarsi. Per non parlare di Claudio Scajola che, raccontano, abbia già detto a tutti di non volere andare alle elezioni. Infine ci sono i peones, terrorizzati dall'idea di essere lasciati a casa. Il fronte del 'no' alle urne, dunque, potrebbe ingrossarsi sempre più.

OPPOSIZIONI, OK DIMISSIONI MA ORA GOVERNO TRANSIZIONE 

di Cristina Ferrulli

Dopo tutti i tentativi messi in campo, alla fine la spallata al Governo da parte delle opposizioni non arriverà in Parlamento. La 'road map' concordata tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il premier Silvio Berlusconi, 'congela' infatti l'affondo deciso dalle minoranze, che erano pronte a presentare una mozione di sfiducia. Il confronto, invece, si sposta su come accelerare l'iter della legge di stabilità per impedire che il Cavaliere, dimettendosi a dicembre, chiuda le possibilità di un governo di transizione e punti al voto anticipato. Il Pd, addirittura, pur di chiudere gli spazi, annuncia con Bersani un suo possibile via libera al provvedimento – dopo comunque una "rigorosa" verifica – invocando al contempo la formazione di un governo di transizione. Una soluzione che raccoglie il convinto favore dell'Udc di Casini che, salutando la "via d'uscita" imboccata dopo l'incontro del Colle, entra in pressing su Berlusconi auspicando che ora abbia anche "la consapevolezza che la situazione economica e finanziaria non ci consente una lunga ed estenuante campagna elettorale".
 
Il film della giornata non ha però avuto sin dall'inizio un finale scontato. Per senso di responsabilità, chiesto dal Quirinale, il centrosinistra ha scelto di non partecipare al voto sul rendiconto consentendone così l'approvazione. Ma, prima dell'incontro al Colle, l'intenzione era di non fare nuovi 'regali' alla maggioranza, pianificando una mozione di sfiducia da votare quanto prima. "Noi non molliamo, Berlusconi si deve dimettere subito perché il paese non può aspettare 15 giorni", assicurava nel pomeriggio Pier Luigi Bersani. E i numeri dei deputati della maggioranza che non hanno votato confermava la strategia dell'opposizione, altresì convinta che davanti al baratro altri parlamentari, contrari al voto, seguiranno. Certo, il leader del Pd era stato facile profeta osservando con i giornalisti che "Berlusconi è imprevedibile e quindi non si sa che cosa dirà a Napolitano". L'esito dell'incontro al Quirinale spiazza l'opposizione che guarda con diffidenza alle mosse del premier: il sospetto è che a questo punto il premier cercherà di prendere più tempo possibile con il ddl stabilità per evitare la nascita di un nuovo governo. "Se approva la legge in una settimana – spiega un dirigente del Pd – va bene, altrimenti non ci facciamo prendere in giro per un mese perché é chiaro che lui vuole arrivare più in là possibile per poi andare al voto". In serata lo stato maggiore del Pd si è riunito per valutare varie opzioni per accelerare le dimissioni. L'obiettivo è lavorare per allargare la base parlamentare per chiedere, quando ci saranno le consultazioni, un governo di transizione. "Noi per convenienza di partito – spiega Franceschini – dovremmo volere le elezioni visto che i sondaggi ci danno vincenti in ogni tipo di alleanza ma, siccome c'é un emergenza nel Paese, serve un governo di transizione che affronti le misure economiche e faccia una nuova legge elettorale". Una posizione che non viene sposata però dal leader Idv Antonio Di Pietro , tornato a chiedere le elezioni che "sono il percorso migliore e immediato". Della difficoltà dell'opposizione di concordare su una linea univoca sul governo di transizione è cosciente il leader Udc Pier Ferdinando Casini che, lasciando il Transatlantico dopo il voto, si limita ad un sibillino: "Non è ora di parlare, è ora di operare".

di Yasmin Inangiray