Il pianeta intero, con tutte le sue risorse, è bene comune della comunità umana. In fondo l’umanità è imbarcata su questa minuscola navicella che “vaga” nell’universo verso una destinazione misteriosa e tutto, in essa, dovrebbe essere comune ricchezza.
Fin dall’inizio della vicenda umana tuttavia è prevalso e prevale invece il concetto “solo il più forte sopravvivrà”. Essendo tuttavia l’uomo un essere sostanzialmente sociale ha dato vita rapidamente a comunità che si son date un’organizzazione capace di garantire sicurezza e le risorse necessarie alla sopravvivenza ai propri membri. Banalizzando, mancava nella preistoria la visione planetaria e quindi la possibilità di vedere l’intero genere umano come unica comunità.
Superfluo ricordare come si sia sviluppato il commercio, con il baratto prima e con la moneta come mezzo di scambio poi. Ora esiste il “Mercato” cui tutto va sottomesso, intorno a cui l’intera vicenda umana ruota. Non più strumento di scambio ma vero e proprio dio cui tutto può essere sacrificato. La Borsa ne è il cuore pulsante. I servizi giornalistici che trattano del suo andamento ne parlano personificandone i movimenti descrivendoli con aggettivi propri delle emozioni e di soggetti dotati di volontà.
Vedere il pianeta come unico bene comune o come un arena ove il più forte si accaparra ricchezze a danno dei più deboli o con meno opportunità ha conseguenze. Il fatto che sia il mercato a governare l’economia a danno di un qualsiasi elemento regolatore capace di contemperare le esigenze pubbliche e private ha prodotto disparità inconcepibili: 62 persone detengono una ricchezza pari a quella posseduta da metà della popolazione mondiale. Nel 2010 erano in 388 (Cfr. Rapporto OXFAM) segno che l’accentramento di ricchezza progredisce inesorabilmente.
Forse è il caso di pensare a qualche correttivo tra l’idea, ora utopistica, di un pianeta in cui tutto è bene comune e la legge della giungla dove il più forte prevale. Non farlo, come già avvenuto nel passato e la historia magistra vitae inutilmente insegna, non può che portare a disordini sociali e guerre.
D. Corraro