Jacopo – in arte Dargen – D'Amico a Trento ci è arrivato senza gli occhiali da sole, poi li ha messi , è salito sul palco e ha spaccato. Nella nostra città lo ha portato il tour D'iO, il suo ultimo album, ma con questa città Dargen non ha rapporti particolari, si ricorda però che qui studia uno dei ragazzi di Giadamesi, la sua casa di produzione e partiamo proprio da lì:
Come scegli gli artisti per Giadamesi? Qual è il criterio?
Già da quando ascolto per la prima volta un pezzo, che mi viene inviato o sfasando su youtube, quello che mi colpisce è prima di tutto la novità, ma il discorso non è razionale: io seguo il cuore e mi fido solo di quello. Una volta che ho colto in te quel guizzo, quella scintilla creativa allora sei dentro. In realtà prima vieni sottoposto ad una serie estenuante (ride) di cene con me e Gaudesi perchè valutiamo di persona se siamo sulla stessa lunghezza d'onda con chi intendiamo produrre. Ad ogni modo sì, il quid è l'unicità che ti leggo dentro.
Va da sé citare allora la tua ultima collaborazione.
Genio dentro? Sì, in realtà è tutta farina del sacco di Dutch Nazari, ma stiamo in fondo parlando sempre di quello. L'ha scritta ispirandosi al suo amico, il poeta Alessandro Burbank: si sono conosciuti a Trento, no?
Così pare. Pensa che, a proposito di guizzo, Dutch è stato il primo artista che ho intervistato qui a Trento. Restiamo sul tema “ispirazione”, se ti dicessi Islanda?
Avevo deciso di andarci per scrivere quella che poi è diventata Modigliani. L'Islanda è un posto pazzesco, un panorama unico e tanto spirituale. In realtà poi è andata a finire che la canzone l'ho scritta solo una volta rientrato a Milano, là invece ho preferito esistere e non è poco. E comunque l'acqua islandese è la fine del mondo, buonissima.
Tanta spiritualità in un album tanto riassuntivo: 10 anni di percorso musicale raccontati in 18 tracce. Se restasse qualcosa da dire, aggiungeresti giusto due parole sul titolo?
In D'iO sta la sintesi tra Dio e Io, perchè se riguardo indietro realizzo che alla fine sono quelli i due centri focali del mio fare musica. Con questo titolo esprimo la ricerca che mi accompagna da una vita: la fusione tra singolare e particolari e i tutti i tentativi per raggiungerla.
Questo intimo bisogno di fare il punto della situazione dovrebbe preoccupare i tuoi fan? E' l'ultimo album di Dargen D'Amico?
Beh, vorrei dirti che continuerò a fare musica tutta la vita, ma la verità è che non lo so. Ora sicuramente sono molto concentrato su Giadamesi e questo mi fa stare bene. Produrre, scovare talenti, farli crescere: è il mio contributo attuale alla musica, al crederci e al farci credere anche il prossimo mio.
Fammi tre nomi di chi secondo te è al massimo nella scena rap italiana adesso.
Qui ti lascio la pagina bianca.
Allora cambiamo punto di vista: il tuo viene definito cantautorap: ha ancora senso parlare di suddivisione in generi?
Io non mi sono mai preoccupato di trovare una definizione giusta per quello che faccio: so che faccio rap e tanto mi basta. Dividere in macrogeneri è una comodità, ma a volte può risultare difficile e soprattutto inutile.
«Ma cosa volevi dire?» Quanto importa a Dargen D'Amico di come e quanto vengano recepiti i suoi testi?
Vedi, ormai credo che questa sia diventata la mia macchietta. C'è chi dice che io metta in fila parole a caso e forse è così (ride). Se un testo per me ha un significato è inutile starlo a spiegare. Attenzione: il mio non vuole essere snobismo, è proprio una questione di sentimento artistico. Non posso spiegartelo con la logica, mi viene in mente l'espressione “per analogia”: ecco tra me, la mia musica e chi la ascolta si instaura un'intesa empatica, una vibrazione che se ti prende ti scuote, ma che non si può creare a priori. Accade e questo è quanto.
(Lucia Gambuzzi)