di Adriano Cataldo
La poesia fa male
Nanni Balestrini
Per costruire questa piccola rubrica ci siamo posti una domanda: quali sono i confini della poesia?
In un mondo in cui il richiamo ai confini è spesso connotato all’esclusione, proponiamo all’opposto un ragionamento volto a ciò che accomuna le diverse realtà che operano nell’universo poetico.
Non è nostro obiettivo stabilire una definizione di poesia, vogliamo invece parlare del suo pubblico. Il punto di partenza è un testo molto famoso del poeta Nanni Balestrini. In questo testo viene evidenziata l’esistenza di un “patto” tra chi fa poesia e chi ne fruisce. In questa prospettiva, risulta di fondamentale importanza capire i meccanismi di questa relazione pubblico-poeta, perché può dire molto sul fare poesia.
Come altre forme d’arte, l’universo poetico vive a nostro avviso una forte lacerazione.
Da un lato, si vede un’apertura molto forte al fare poesia, veicolata parzialmente dai nuovi media. Un’apertura orizzontale, che risponde alle necessità che hanno gli individui di esprimersi e di trovare parole per comprendere il proprio tempo. Un’urgenza che spesso non tiene conto della qualità del testo poetico.
Dall’altro lato, esiste un forte richiamo alla qualità del testo poetico, un’apertura verticale, che secondo alcuni dovrebbe rappresentare il confine per stabilire cosa sia davvero la poesia, per distinguerla dalla scrittura non-poetica, oppure da quella di poco pregio.
In base ai due diversi gradi di apertura, si possono identificare dal nostro punto di vista due tipi di poesia: una popolare e una laureata. Si tratta di due categorie analitiche, esemplificative, che servono per orientarsi, ma che nella realtà sono più sfumate.
Partendo da questo scenario, intervisteremo diversi esponenti del mondo poetico (poeti e poetesse, organizzatori e organizzatrici di eventi, analisti e analiste) e ragioneremo sulle possibili differenze tra poesia popolare e laureata.
Dopo Simone Savogin, il nostro quarto ospite è Roberto Batisti, studioso di lingua greca (attualmente assegnista di ricerca all’Università di Bologna) e insegnante di materie letterarie, attivo da diversi anni anche come critico militante. Scrive di poesia contemporanea e altri temi culturali su “La Balena Bianca” e varie altre riviste cartacee e online. Ha collaborato all’organizzazione dei festival “Pressioni” (Bologna, 2017, sull’editoria di poesia) e “Convergenze” (Padova, 2018, su tendenze e stili della poesia italiana recente). Come poeta, ha pubblicato la silloge “Affeninsel” nel volume collettivo Hula Apocalisse (Prufrock spa, 2018); una nuova raccolta è in preparazione.
(Roberto Batisti)
Cosa spiega il successo della poesia popolare, in termini di vendite e copertura mediatica, nonostante la scarsa qualità dei testi?
Bisognerebbe anzitutto definire meglio, credo, la categoria di ‘poesia popolare’: ma immagino che il riferimento sia ad autori che ammiccano al comico cabarettistico, come Guido Catalano (un onesto artigiano che mi sta umanamente simpatico), o – a un livello più basso – alle raccolte di ‘poesie’ dei vari youtuber e influencer: cioè ai soli libri di poesia, a parte i grandi classici, a vendere (pare che Catalano, unico o quasi in Italia, viva del mestiere di poeta), e a comparire ogni tanto sui media mainstream. A questi si possono aggiungere, a un livello solo ingannevolmente più alto, i divertissements poetici di grandi prosatori come Michele Mari (un “Catalano della fascia alta”, secondo Matteo Marchesini).
Il (relativo) successo di tali scritture penso si spieghi con un fatto molto semplice: le esperienze poetiche degli ultimi decenni sono purtroppo poco conosciute dai non specialisti, perché poco trattate a scuola e largamente trascurate altrove. Gli autori più recenti suggeriti dalle Indicazioni Nazionali (i ‘programmi’ normativi non esistono più) sono Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto: tutti giganti del nostro Novecento, ma nati fra il 1912 e il 1921. Ammesso che si arrivi davvero a trattarli. Naturalmente alcuni insegnanti d’italiano sono anche validi poeti e/o critici di poesia contemporanea e trovano modo di proporre nelle loro classi esperienze più recenti, ma penso che siano una minoranza. Anche al di fuori della scuola, il ruolo sociale della letteratura (al cui interno la poesia è sempre più una nicchia) si fa sempre più marginale. Di conseguenza, è difficile che sui mezzi d’informazione venga dato adeguato spazio dato a un discorso serio sulla poesia contemporanea.
Tutto questo fa sì che l’orizzonte d’attesa dei lettori, anche ‘forti’ e istruiti, sia impostato su idee sbagliate o anacronistiche, a volte caricaturali, di ‘poesia’. Ecco che allora hanno più successo quelle scritture che, per ingenuità o per calcolo, vanno incontro a tale orizzonte, ma certo non sono rappresentative del meglio che si è scritto dagli anni ‘70 a oggi.
Esiste qualche esempio di buona poesia capace di raggiungere un pubblico più ampio?
Non saprei fare esempi specifici: penso che tutta la poesia ben scritta potrebbe raggiungere un pubblico più ampio dell’attuale, se cambiasse la situazione che ho tratteggiato nella risposta alla domanda precedente. Dal mio punto di vista (per quel che conta), poesia ‘buona’ è quella che non scorre anodina ma crea un attrito fecondo – con la realtà, con le strutture linguistiche, con la tradizione letteraria, con lo stesso orizzonte cognitivo. Va da sé che una poesia che punti invece a incontrare un’idea ricevuta e approssimativa del ‘poetico’ per definizione non soddisfa questi requisiti.
Oggi, un discorso a parte va fatto per la dimensione della poesia orale-performativa e per i poetry slam che ne sono un importante canale (anche se non l’unico). Da un lato si tratta di una modalità che, per le sue caratteristiche, risulta accattivante e sta guadagnandosi una certa popolarità, che potrebbe appunto far interessare un pubblico più ampio alla poesia tout court. D’altro canto, proprio negli slam il meccanismo competitivo e la necessità di catturare in tempo reale il gradimento un pubblico sprovvisto di strumenti specialistici tende troppo spesso a premiare approcci che sono ‘popolari’ nel senso deteriore discusso più sopra. Ma c’è anche una performance ‘nobile’, sperimentale, che porta avanti ricerche sicuramente ascrivibili alla poesia ‘buona’.
La "poesia laureata" può avere un impatto sociale?
Ancora una volta, mi lascia qualche dubbio la definizione – dato anche che lo stesso Montale usava il termine ironicamente, mentre nei paesi dove il poeta laureato è un’istituzione storica la carica è andata anche ad autori contemporanei dalla proposta originale e, al tempo stesso, accessibile (penso ora a Simon Armitage in UK). Comunque, se sulla scorta delle risposte precedenti intendiamo per ‘laureata’ una poesia non per forza erudita o artatamente complessa, ma neppure fatta apposta per ammiccare a un gusto facile o immaturo, allora penso che una sua maggiore circolazione avrebbe di per sé stessa un impatto sociale positivo, andando ad arricchire le conoscenze e, auspicabilmente, il gusto dei lettori.
Non penso, invece, che sia compito della poesia, popolare o laureata che sia, diffondere un messaggio sociale esplicito: o meglio, quegli autori e quei testi che ci riescono di solito non sono quelli che se lo prefiggono come obiettivo. Il contenutismo, sia pur mosso dalle migliori intenzioni, è nemico della qualità.
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Batisti introduce un elemento molto importante nel discorso relativo al pubblico: il ruolo della scuola.
Per un pubblico non esperto, gli anni formativi obbligatori sono probabilmente l’unico momento strutturato di avvicinamento alla poesia. In questa situazione sembra quasi inevitabile che, per la maggior parte dei non specialisti, un testo di Guido Catalano o di Michele Mari possa essere quasi liberatorio.
In questo contesto, inoltre, si spiega il successo delle modalità di diffusione orali e quelle dei media virtuali (la cosiddetta “instapoetry”), che utilizzano talvolta codici di fruizione più immediati. Secondo Batisti, questi esempi di poesia popolare possono in diversi casi rappresentare produzioni di qualità. Con questa espressione, Batisti sembra aderire alla definizione tratteggiata nei commenti all’intervista a Simone Savogin della scorsa settimana, che a sua volta si rifà all’intervista a Cristiano Poletti e Fabio Pusterla su Le parole e le cose. In questa prospettiva, la poesia per essere tale si pone in un’ottica diacronica, riuscendo a dialogare con la tradizione e investigando disposizioni complesse dell’animo, non una facile emotività. Una modalità espressiva capace di e-vocare, farsi paesaggio esplorato con un linguaggio diverso dalla quotidiana comunicazione.
L’ultimo punto di Batisti è la difficile identificazione di un ruolo sociale della letteratura e della poesia.
Da un lato, questo è dovuto a fattori esterni come la scarsa copertura dei mezzi di informazione, che è probabilmente corollario del punto iniziale, dedicato alla scuola.
Dall’altro, è dovuto a fattori interni. Come Savogin, Batisti crede a una compenetrazione tra i due idealtipi di poesia laureata e poesia popolare. Non crede però nella possibilità da parte della poesia di veicolare messaggi sociali e politici senza uno svilimento contenutistico. Una prospettiva che probabilmente si rifà a una visione lirica della poesia che, nelle parole del poeta Milo de Angelis, si pone come “intreccio di singolare e di cosmico”. La poesia politica o civile, che si lega a un tempo preciso, difficilmente può porsi come lirica, a meno che non inserisca l’analisi dei fatti sociali in prospettiva diacronica. Un aspetto che approfondiremo nelle prossime uscite di questa rubrica.
Per concludere, ci affidiamo nuovamente alle parole di Nanni Balestrini
sia dunque lode al pubblico della poesia
lode al suo giusto nobile grande amore per la poesia
nel cui riflesso noi pallidi e umili messaggeri
viviamo grati e benedicenti