Festival Fantasio: Storia di una malattia

Lo spettacolo di mercoledì 15 novembre, "My life. 1 agosto-31 luglio" ha dato molti spunti sul significato della vita e della sua fragilità

di Fiamma Rodi

Mercoledì 15 novembre è stato messo in scena sul palco del teatro di Villazzano il secondo spettacolo di Fantasio, festival di regia teatrale che vede 8 registi lavorare su un solo testo rendendolo unico e particolare. Il testo di quest'edizione è "La locandiera" di Carlo Goldoni, testo classico del panorama teatrale italiano datato 1753, ora rielaborato ed adattato alle preferenze stilistiche dei registi in gara.

Lo spettacolo di cui parleremo oggi è "My life. 1 agosto-31 luglio". Il pezzo, diretto da Mirko Corradini, con aiuto regia di Nicola Piffer e interpretato da Laurent Gjeci ed Emilia Bonomi ha dato diversi spunti su cui ragionare.

Protagonista del pezzo è Bob Jones, uomo sulla trentina con una vita "normale": un lavoro, una relazione e dei rapporti sociali. La vita di Bob cambia però quando scopre di avere un tumore ai reni che non risponde positivamente alle cure e che sta lasciando poca possibilità di sopravvivenza.

Allo stesso tempo Bob si trova non solo ad avere paura per sè e per la sua vita ma deve affrontare un dolore ancora maggiore: la moglie è incinta al quarto mese del loro primo figlio. Ecco quindi che Bob si trova davanti a due scelte: chiudersi nella depressione post-malattia o cercare di reagire in qualche modo.

Amica fidata del percorso di Bob è una telecamera con cui egli riesce ad alienarsi dal dolore della malattia, parlando con il bebè in arrivo e cercando di creare un sostituto al Bob che non molto in là nel tempo cesserà di esistere e che forse non riuscirà nemmeno a vedere la figlia nascere.

Contro ogni aspettativa il protagonista supera i 4 mesi che gli erano stato dati come data di fine della sua vita, cosa che lo spinge a superare le sue paure come ad esempio andare sulle montagne russe o a riallacciare i rapporti con la famiglia, con cui aveva perso ogni tipo di relazione.

Bob muore il 31 luglio lasciando però tutti i suoi consigli nella memoria di quella telecamera che l'ha aiutato a sentirsi vivo durante il limbo datato dalla consapevolezza di una morte imminente.

Il pezzo e il modo in cui è stato interpretato hanno dato modo allo spettatore di entrare in un mondo piccolo ma molto moderno con la scenogradia, composta da un letto e una scrivania, dalla recitazione dei due attori e da un maxi schermo che lo rende piacevolmente innovativo.

Lo scenario fa riflettere sul ruolo di uomo e malattia. Basti pensare quante volte a conoscenza di una malattia grave di una certa persona vicina si abbia sempre paura di cosa dire o fare e non si riesca a pensare ad altro che al dolore fisico ed emotivo che sta dietro al diretto interessato. Ci si dimentica troppo spesso che dietro alla malattia ci sono ancora persone che ridono, fanno sciocchezze e battute.

Altro spunto interessante viene rappresentato dalla figura della terza protagonista dello spettacolo: la telecamera che regala a Bob -e indirettamente anche alla figlia che nascerà- una cosa straordinaria e precedentemente impossibile: una presenza oltre la morte. La figlia di Bob, Blanca, potrà vedere in video il padre e ricevere i suoi consigli, aprendo così un varco spazio-tempo che senza l'esistenza della ripresa video sarebbe impraticabile.

Per concludere, il pezzo teatrale ha certamente colpito la vena più sentimentale dello spettatore, accompagnato da momenti difficili -anche se soprendentemente rari- ma soprattutto da momenti pieni di speranza e di una certa comicità che lasciano un gusto agrodolce sulle labbra di chi guarda.

Ci sono momenti in cui la malattia viene dimenticata, come è giusto che sia, e momenti in cui questa rientra pesantemente nella vita di colui che ne è colpito. Lo spettacolo è un inno alla vita ma anche un avvertimento forte e chiaro: la vita è imprevedibile e crudele a volte, la differenza sta in chi risponde vivendo ad ogni costo, aggrappandosi ad essa anche schiacciando il tasto play di una telecamera.