Venerdì 31 marzo presso il teatro Sanbàpolis di Trento è andato in scena “Frankenstein”, reinterpretazione moderna del capolavoro di Mary Shelley firmata dal regista roveretano Filippo Andreatta che vede in scena le attrici di OHT [Office for a Human Theatre], Silvia Costa e Stina Fors, narratrici egregie del racconto gotico per definizione. Lo spettacolo inizia in media res, con il pubblico che entra a sipario aperto mentre la rappresentazione è già in svolgimento. Gli spettatori vengono accolti da una scenografia che ricorda quella di un’installazione artistica dal gusto industrial, dove tutti gli oggetti giocano con gli elementi naturali: l’acqua, rappresentata da una pioggia artificiale, l’aria, mossa da in ventilatore appeso al soffitto, la terra, rappresentata dai ghiacciai che vengono mostrati a video, e il fuoco, presente direttamente in scena all’inizio e alla fine della rappresentazione. Il fuoco, difatti, è ciò che apre e chiude un cerchio evolutivo terribile e, per quanto naturale, temporalmente anomalo del moderno Prometeo. Il mostro, che abbiamo sin da subito in scena, vive uno stato di “precoscienza” simile a quello dei bambini, in cui il mondo circostante si scontra con dei sensi non abituati a processarlo. Tuttavia, la creatura è allo stesso tempo cosciente di essere viva, e con lo svilupparsi della narrazione acquisisce cognizione della propria individualità e mostruosità. Questa tensione tra sapere e non-sapere si sviluppa nella voce del mostro, che da grezza e terrificante si affina sempre di più nel tono e nel timbro, oltre che nella consapevolezza metalinguistica. I rumori inconsulti divengono suoni eleganti e scelte forbite, grazie anche all’apprendimento della lettura da parte della creatura. Il pensiero passa dall’essere embrionale ed autoreferenziale a universale: il mostro vuole comunicare i propri pensieri con la propria voce, e quando insultato uccide soffocando le proprie vittime. La narrazione è accompagnata dal comparto video, audio e luci di Davide Tomat e Andrea Sanson, che istruiscono lo spettatore e allo stesso tempo lo destabilizzano e lo turbano. Le didascalie, proiettate su una mappa del ghiacciaio “Mer de Glace”, introducono il pubblico al contesto storico in cui “Frankenstein” viene ideato e scritto, ossia nel periodo dell’eruzione del vulcano Tambora che causò il cosiddetto “Anno senza estate”, durante il quale – su tutto il globo terrestre – calarono le tenebre, seguite da carestie e malattie. Le montagne al confine con la Francia diventano anche il rifugio di Victor Frankenstein, che con ironia ci rivela come spesso venga scambiato per il mostro con cui quasi non vuole comunicare durante lo spettacolo, perché rappresentazione della proiezione della sua natura abominevole. Le frasi a video, che non a caso si concludono con un semplice “2023”, comunicano con il presente e con l’emergenza climatica in cui siamo vittime e carnefici. Le luci e gli effetti audio accompagnano i sensi del pubblico, che viene destabilizzato da lampi, tuoni, fulmini, scintille, incendi e grida di un mostro che ormai ha coscienza di sé e della propria deformità. In conclusione, “Frankenstein” perturba e sconvolge in modo raffinato la sensibilità degli spettatori, accompagnandoli in una riflessione cupa ed attuale.
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