Il pubblico della poesia #13: Fabrizio Venerandi

Una riflessione collettiva. Tredicesima puntata

 

 

di Adriano Cataldo

 

La poesia fa male

Nanni Balestrini

 

Per costruire questa piccola rubrica ci siamo posti una domanda: quali sono i confini della poesia?

In un mondo in cui il richiamo ai confini è spesso connotato all’esclusione, proponiamo all’opposto un ragionamento volto a ciò che possa accomunare le diverse realtà che operano nell’universo poetico italiano.

Non è nostro obiettivo stabilire una definizione di poesia, vogliamo invece parlare del suo pubblico. Il punto di partenza è un testo molto famoso del poeta Nanni Balestrini. In questo testo viene evidenziata l’esistenza di un “patto” tra chi fa poesia e chi ne fruisce. In questa prospettiva, risulta di fondamentale importanza capire i meccanismi di questa relazione pubblico-poeta, perché può dire molto sul fare poesia.

Come altre forme d’arte, l’universo poetico vive a nostro avviso una forte lacerazione.

Da un lato, si vede un’apertura molto forte al fare poesia, veicolata parzialmente dai nuovi media. Un’apertura orizzontale, che risponde alle necessità che hanno gli individui di esprimersi e di trovare parole per comprendere il proprio tempo. Un’urgenza che spesso non tiene conto della qualità del testo poetico.

Dall’altro lato, esiste un forte richiamo alla qualità del testo poetico, un’apertura verticale, che secondo alcuni dovrebbe rappresentare il confine per stabilire cosa sia davvero la poesia, per distinguerla dalla scrittura non-poetica, oppure da quella di poco pregio.

In base ai due diversi gradi di apertura, si possono identificare dal nostro punto di vista due tipi di poesia: una popolare e una laureata. Si tratta di due categorie analitiche, esemplificative, che servono per orientarsi, ma che nella realtà sono più sfumate.

Partendo da questo scenario, intervisteremo diversi esponenti del mondo poetico (poeti e poetesse, organizzatori e organizzatrici di eventi, critici e critiche) e ragioneremo sulle possibili differenze tra poesia popolare e laureata.

Dopo Lello Voce, il nostro tredicesimo ospite è Fabrizio Venerandiscrittore, poeta e programmatore. Con Alessandro Uber ha scritto nel 1989 il primo videogioco multiutente online italiano, Necronomicon. Ha pubblicato testi di narrativa, poesia, saggistica e diversi lavori di letteratura elettronica. Tra i più recenti, Poesie Elettroniche (2016), Mens e il regno di Axum (2018), Guida all’immaginario nerd (2019), Il mio prossimo romanzo (2017). Con il collettivo bib(h)icante dal 1999 ad oggi è autore e performer di testi di poesia polivocalica.

(Fabrizio Venerandi)

 

Cosa spiega il successo della poesia popolare, in termini di vendite e copertura mediatica, nonostante la scarsa qualità dei testi?

Sarò onesto: non credo che esista davvero un ‘successo’ della poesia popolare. Sarà che ho sempre vissuto il panorama della poesia stampata con scarsa passione, ma – vista dall’esterno – questa battaglia sembra un po’ una guerra tra poveri. I libri di poesia vendono tradizionalmente poco e questi ‘successi’ che citi, non sono abbastanza successi per essere qualcosa di importante. Mi sembrano piuttosto prodotti di merchandising derivati da altri media più forti: youtube, musica, cabaret. Ribalterei la domanda: perché c’è un pubblico per questo tipo di prodotto editoriale? Cosa trova il pubblico di questa poesia dell’acquisto di questi prodotti? IMHO non trova le poesie, trova uno dei tanti tasselli di un mondo più elaborato e affascinante, fatto di profili Instagram, Facebook, di video Youtube, di pezzi musicali. È questo che forse funziona a livello editoriale, il lavoro su più canali nel quale il libro di poesia è uno dei tanti valori aggiunti. Dietro c’è un lavoro di marketing e storytelling calibrato sul singolo autore. Ma – ripeto – un lavoro che mi sembra poco più marginale di quello della poesia colta. Di quali numeri parliamo quando parliamo di poesia popolare? Di quanti venduti, quanti resi? Quanto resteranno a catalogo queste cose? Io non credo che siano cifre davvero importanti. Senza contare che facilmente il pubblico della poesia popolare e il pubblico della poesia laureata difficilmente collidono. I poeti popolari non tolgono pubblico ai poeti laureati, anzi, è possibile che sul medio termine questa prassi di comprare libri di poesia possa indurre, per osmosi, a vendere qualche decina di copie di più di libri di poeti laureati.

Esiste qualche esempio di buona poesia capace di raggiungere un pubblico più ampio?

Ho iniziato a leggere e ascoltare poesia alla fine degli anni novanta. Ho assistito alle sfide poetiche del Verso Sovverso genovese, i figli del Gruppo ‘93, sono andato alle letture laureate, e sono anche andato alle letture dei poeti “emarginati”, quelli che la laurea non gliel'hanno data. Sono andato a declamare nei RicercaRE e alla sera andavo nei newsgroup usenet degli appassionati del verso libero a leggere quello che improvvisavano. Sono andato alle letture dei poeti delle neo-neo avanguardie e sono andato a “giocarmi” e toccare quelli della letteratura elettronica internazionale. Ho ascoltato e combattuto contro le generazioni dei giovani negli slam poetry e ho perso e ho vinto. Personalmente questa poesia è quella che sento più capace di fare cose, quella che credo che – silenziosamente – da decenni vada a formare “il pubblico più ampio”: il pubblico della poesia composto dalle persone che i libri di poesia non li compra. Se devo scegliere un esempio di poesia capace di raggiungere un pubblico più ampio, penso alla poesia applicata, programmata, declamata, giocata, contrabbandata. Forse uno dei problemi della poesia è il feticcio dell’oggetto libro. Pensare che il pubblico della poesia sia quello che compera il libro di poesia, e non quello che si scontra con gli oggetti poetici che ogni giorno creiamo e distribuiamo in rete, per i locali, in giro. La silloge è più un dazio che il poeta paga per avere una credibilità critica che un vero oggetto del desiderio. Ecco, forse questo può insegnare la poesia popolare a quella laureata: saper creare oggetti del desiderio.

La "poesia laureata" può avere un impatto sociale?

No.

 

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