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A volte vale la pena di prendere un permesso dal lavoro e tenersi libero il venerdì pomeriggio. A volte, conviene mollare la tesi per dodici ore e imboccare la Valsugana. Ma non in una data a caso: conviene farlo quando nei pressi dei colli Euganei va in scena La Tempesta. Venerdì 12 luglio, infatti, la Tempesta è entrata nella foresta di Sherwood, nella sua ricollocazione patavina, per mettere su l’ormai abituale gioioso spettacolo di famiglia.
E così, da bravi trentini, abbiamo raccattato una macchina che scendesse verso la pianura. Sempre da bravi trentini, siamo partiti con sei ore d’anticipo, ma eravamo in compagnia dei colleghi di Shiver e MUSICversum. Così, fra il gossip sul prossimo festival Fuochi Fatui, il prelievo alle Poste a Santa Giustina e la sosta dal meccanico Max da qualche parte nel bellunese, siamo giunti nella tangenziale padovana. Ma in pratica le sei ore di viaggio le abbiamo passate tutte lì, fra Vigodarzere e Cadoneghe. Forse perché i colleghi volevano finire di ascoltare il disco dei Three in One Gentleman Suit? Fatto sta che alla fine siamo arrivati, e abbiamo pure pigliato il magico ciddì con la compilation illustrata da Baronciani, che ha anche la canzone “Gattini” degli Altro. Meraviglioso.
Ancora meglio, non appena abbiamo superato i tornelli del Festival ci siamo trovati davanti La Maison, una banda di gitani modaioli bellissima da vedere e anche assai gradevole all’ascolto: un trionfo di fisarmoniche, trombe, viole, scatoloni rotti che non avete idea. Se li trovate sull’internet sappiateci dire! Da bravi girovaghi, si spostavano troppo spesso per riuscire a fermarli nel parcheggio dell’Euganeo.
Dopo un inizio così promettente, ci siamo concessi la birretta di rito. Salvo accorgerci, non appena sorseggiata un po’ di schiuma, che al palco principale gli Allegri Ragassi Morti stavano già a metà del loro set! Allora corriamo, e Toffolo è lì con una chitarra verde limone isterico, VESTITO CON LA PELURIA DELLE NOCI DI COCCO. C’è chi ha detto che era vestito “di liane”, ma al massimo potevano essere le ragnatele secolari della soffitta della nonna, a coprire Davide da capo a piedi. Le canzoni sono le solite, lo sapete tutt*, il fumo di marijuana nell’aria è sempre quello, e alla fine arriva la commozione col Mondo Prima. E allora i Ragassi Morti sono sempre belli, e poco importa che i limiti di tempo impongano loro di tagliare il consueto teatrino.
Poi ci sono i Bachi da Quintale al palco più piccolo, ma prima andiamo a comprare al loro banchetto un prezioso 7”, sul quale i cugini Ronin hanno inciso due pezzi della colonna sonora di Twin Peaks. Il chitarrista Succi cerca di convincerci a “diversificare”, dice lui, ma il portafogli ci impedisce di comperare anche il disco dei Bachi. D’altra parte la concorrenza è spietata, gli Altro stanno finendo le copie dei loro 7” super rari – e noi amiamo i 7” super rari. Anche se poi a Trento il giradischi mica ce l’abbiamo.
I Bachi spaccano di brutto, il sudore sprizza dalla Gibson di Succi, poi ci giriamo e ci facciamo distrarre da Toffolo in tenuta metallara. Fluenti capelli biondissimi gli scendono da sotto il cappellino, nero come tutto quello che indossa. Presto la fandom del “miglior gruppo reggae d’Italia” (lo ha detto Lui, eh) si accalca intorno all’idolo di Pordenone, e noi gli scattiamo qualche foto da paparazzi prima che scompaia dietro a decine di corpi molesti.
Segue l’attesa delle performance consecutive di Maria Antonietta e degli Altro: nel frattempo, suona Umberto Moltheni Giardini sul palco principale; è bravo e tutto quanto, ma le sue canzoni suonano troppo lamentose quando stai chiacchierando con il grande Burbage, fresco di debutto discografico. In compenso, la camicia del buon Giardini è di un barocco così esplosivo da risultare quasi transavanguardistica, e quella c’è piaciuta più di tutta l’esibizione.
Finalmente arriva il momento di Maria Antonietta: dopo circa quattro ore di sound check, l’imbarazzo superato con l'usuale atteggiamento adorabile, si parte. I pezzi nuovi suonano molto meglio delle preview carpite dal web. Lei è sola, senza la band, ma ha un sacco di energia e di ammore da riversare sul pubblico. Le mani si muovono nervosamente sul collo della chitarra acustica nera, mentre le fan (e I fan, sia ben chiaro, ché ci son troppi maschi là fuori che disprezzano Marie Antoinette) cantano i testi a squarcia gola. Il momento di apice è sicuramente quando avvistiamo un ragazzo con due spalle così cantare, con le lacrime agli occhi, “Questa è la mia festa”, che Letizia suonava a velocità doppia per restare nei limiti di tempo. Il concerto finisce subito, lei è carinissima come sempre e amiamo anche lei come i Ragassi Morti; i colleghi delle altre webzine, invece, la deridono, ma prima o poi anche loro saranno travolti dall’onda dell’ammore.
Gli Altro fanno il loro concerto di corsa, non capiamo i testi delle canzoni e non ricordiamo neanche un sorriso da queste schive figure mitologiche. Però il cantante urla, il bassista suona il basso, il batterista fa i ritmi sincopati, alla fine suonano “Federico” e siamo tutti contenti.
Giorgio Canali non volevamo andare a sentirlo perché «è vecchio», «fa sempre la stessa roba», ecc. Ma Canali dal vivo è stupendo: si è vestito da sedicenne, con una specie di maglietta nera col simbolo dell’anarchia in rosso, che in realtà è il simbolo che compare sul nuovo album. Bestemmia e blatera slogan politici, e ci presenta la sua diagnosi: “Avete bisogno di andare a farvi fottere”. Al che noi lo abbandoniamo, perché tutto sommato ci interessa anche sentire il Pan del Diavolo. Il concerto del duo siciliano è forse quello più frequentato della serata, tanto che non riusciamo a farci strada oltre il mixer. L’aria prende fuoco e gli ormoni di donne e uomini impazziscono per tre quarti d’ora. È un po’ strano sentire il vicino urlare “hai la faccia a pezzi, son notti che non dormo”, dal momento che è da diverse notti che non dormiamo, ma l’atmosfera è talmente calda ed elettrificata che della faccia a pezzi non ce ne frega nulla e urliamo anche noi con lui.
Alla fine del concerto incendiario del Pan del Diavolo vorremmo continuare a ballare e saltare, ma l’organizzazione ci ha riservato un pugno allo stomaco recante il nome di Massimo Volume. Prima di cedere all’agonia cerchiamo allora di rianimarci con i Fine Before You Came che, anziché rianimarci, ci prendono e sbattono contro il soffitto con un’esibizione strepitosa: i membri del gruppo sono in perfetta armonia, il cantante si arrampica dappertutto e vola dalle impalcature; tutti nel pubblico lo imitano e si lanciano sul palco e sotto il palco. Il pogo si estende all’intero pubblico, c’è chi ne esce con le ossa rotte ma un’espressione beata stampata sul volto. Dopo i FBYC non ci sarà più nulla.
di Luca Baldinazzo