Bandiera bianca

è possibile restare calmi e indifferenti quando tutti intorno fanno rumore?

Sabato facciamo un giro della città, andiamo alla Grand-Place… magari mostriamo a Marta il museo dei fumetti, facciamo un giro per le vie strette del centro storico-quelle in cui ad ogni angolo i turisti mangiano le tipiche cozzepatate e che fanno assomigliare la città ad una capitale antica del Sud Europa-, magari si fa serata allo Spirito -la discoteca nella chiesa sconsacrata- oppure la domenica si potrebbe andare al mercato vintage di Novembre…

Durante la settimana preparavamo il programma con cui avremmo accolto i nostri amici dall'Italia, con la semplicità e l'entusiasmo di chi vuole mostrare un frammento di bellezza nuovo e conosciuto.

Un programma del tutto lineare fino a sabato mattina, quando da Leuven ci svegliamo con i messaggi degli amici e dei parenti che ci chiedono come stiamo e com'è la situazione. E non ho neanche il tempo per ricordare come mi chiamo, che vengo catapultata nelle ansie e nella curiosità di chi è lontano e vuol sapere. Vorrei rispondere che sono ancora nel mio letto, che sono le 12 e tutto va bene, ma il senso di questa improvvisa e generalizzata preoccupazione mi fa passare la voglia di scherzare.

Sono le 12 e non proprio tutto va bene. A Bruxelles, dove sono stata fino all'altroieri, hanno dichiarato lo stato di allerta: codice rosso. I militari girano per la città e squadrano tutti con sospetto, ai cittadini viene chiesto di evitare i luoghi pubblici, i grandi eventi sono sospesi, chiusi i centri commerciali. Il giorno successivo, domenica, si aggiungono altri ammonimenti: a evitare le riunioni tra più di 20 persone, a stare lontani dalle finestre. Lunedì anche le scuole e le università sono chiuse. I media trasmettono la diretta delle operazioni della polizia, asseriscono e smentiscono notizie sulla presunta posizione di Salah, l'attentatore ancora ricercato, aggiornano sul numero degli arresti, su Twitter è battaglia di gattini (che la notizia più inquietante sia quest'ultima?). La polizia va avanti con le sue operazioni e nel frattempo, a Leuven, la città in cui mi trovo da due mesi, il villaggio felice degli universitari, la vita va avanti tranquilla ma non troppo.

Oggi non andremo a Bruxelles, non ci andremo domani e neanche dopodomani. Ce l'hanno fatta, a fermare lo scorrere leggero delle nostre vite da studenti, pare che nemmeno l'#erasmusmood sia invincibile. Sono riusciti a bloccare la vita di una città, funzionalizzandola alle ricerche e ai blitz.

Noi d'altro canto, non sappiamo come spiegare ai nostri parenti che la città in cui ci troviamo assomiglia così tanto ad un paese dei balocchi per gli universitari (dove i balocchi sono free drinks) che qui ci sentiamo sicuri, che vogliamo dissociarci da quest'ansia generalizzata, andare avanti tranquillamente.

Senza sottovalutare il pericolo e senza creare mostri di paura.

Ma restare calmi e indifferenti quando tutti intorno fanno rumore non è facile.

Immune dall'ansia, dalla paura e dal sospetto, sono stata contagiata dalla tristezza, perché per la prima volta mi sento vicina a questo assedio invisibile, che ha colpito una città della quale poco a poco mi sto innamorando per la sua spontanea apertura al diverso, per la varietà linguistica, per la sua vivacità culturale. Una città in cui a settembre, all'arrivo di 800 rifugiati, in risposta all'inerzia del governo è nata una Piattaforma cittadina che oggi è un luogo fisico (non distante da Molenbeek) di incontro oltre che di sostegno, dove i rifugiati possono trovare da mangiare, vestiti e materassi, sostegno legale e psicologico, corsi di lingua, stanze per la preghiera. In cui decine di famiglie hanno chiesto di ospitare i rifugiati di cui il governo non si sta occupando. In cui le ottantenni forse non cucinano come le nostre nonne, ma sono in grado di ricordarti in inglese, benchè la lingua ufficiale sia il francese, di non dar da mangiare ai piccioni, sennò ti fanno la multa. Ed è chiaro che è proprio questo, “la gioia consapevole dei luoghi della cultura e dello svago” , l'obiettivo ideale del Terrore.

Più delle bombe in questo momento temo che il populismo, la chiusura e il sospetto a cui in Italia Salvini e co. ci hanno abituato sin troppo bene, ingrigiscano questa città colorata e diversa.

E al tempo stesso mi chiedo a quanta stupidità dovrà rivolgersi Salvini, anche contando fino a meno 1 prima di aprire bocca, lui che ci prega di chiudere le frontiere, le persiane, i gabinetti e pure gli assi del water, per occultare il fatto che gli uomini che hanno pianificato ed eseguito gli attentati erano e sono europei. O che l'uomo che le forze dell'ordine europee stanno cercando è nato in Belgio e cresciuto in Francia, che ha 26 anni, che il suo gesto rappresenta un fallimento dell'educazione che gli è stata impartita in una scuola simile alle nostre.

O a quanta ingenuità per negare che le armi del terrore portano il marchio delle aziende, tra le altre, italiane?

A quanta ottusità per negare che in una città come Parigi o come Bruxelles vivono tante anime differenti, così come ci sono tante diverse correnti dell'Islam (quante volte dobbiamo chiedere ai musulmani di scendere in piazza e dissociarsi pubblicamente dagli estremisti, per capirlo?) e che la strada da percorrere non sia quella, impraticabile, delle frontiere (cosa facciamo, alziamo un muro a Mentone, chiudiamo i collegamenti con Ventimiglia?),ma forse quella decisamente più difficile dell'integrazione, e che questa strada ci richiederà attenzione e capacità di dialogo .

 

 

Carlotta Garofalo