di Nicola Pifferi
Dal festival dell’economia, torniamo a parlare di elezioni americane e lo facciamo con il vice direttore del fatto quotidiano che ieri ha fatto proprio una conferenza sul tema. Qual è la situazione che stiamo vivendo adesso e perché siamo arrivati a questo punto di stallo della politica internazionale nei confronti degli USA?
Abbiamo discusso con Thomas Ferguson, economista e politologo del network INET, che ha studiato negli ultimi 15 anni una cosa apparentemente ovvia e cioè quanto contano i soldi nella politica americana. La risposta è tanto. Tra dirlo così come chiacchera da bar e dirlo in maniera scientifica c’è un abisso. Lui ha raccolto tutti i dati su quanti soldi vanno e a chi a livello di elezioni locali e presidenziali. Si scopre che Trump è stato sostenuto da moltissimi settori industriali inquinanti. Si parla, per semplificare, di carbone, acciaio ecc. Mentre alcuni settori big spender hanno sostenuto quasi solo Hillary Clinton come, per esempio, la finanza. E quindi, basta fare 2+2 e vedere che le posizioni di Trump sul clima non sono solo dai suoi umori ma sono anche scelte coerenti con quella che è la base del consenso del partito Repubblicano che, nonostante Trump si sia candidato contro i vertici del partito, comunque è il partito dell’attuale Presidente.
Quindi da una parte la base politica ed elettorale e dall’altra anche quella economica. È giusto dire che stiamo andando in questa direzione anche in Europa? Nel senso che magari in passato eravamo meno legati a chi effettivamente pagava i partiti.
Noi in Italia abbiamo una gravissima responsabilità perché abbiamo distrutto l’unico meccanismo che è l’antidoto a tutto ciò: il finanziamento pubblico ai partiti. In Italia l’abbiamo trasformato in strumento di garanzia e di rendita di posizione e abbiamo trasformato gli eletti nella casta e quindi l’abuso di tale strumento che in realtà è uno strumento molto democratico l’ha reso molto impopolare. Adesso stiamo andando nella direzione opposta e verso il finanziamento privato ai partiti. Per cui adesso ancora con una quota molto piccola e cioè il 2×1000 introdotto dal governo Letta e con una serie di meccanismi molto opachi e cioè quelli delle fondazioni. È un meccanismo pericolosissimo. In una conferenza l’ex ambasciatore americano Phillips a proposito ha dichiarato a Roma “non sapete cosa state facendo, non vi rendete conto del pericolo in cui vi state infilando con questa scelta”. Però in Italia c’è stato un referendum popolare che si è pronunciato in maniere molto forte e con proteste, addirittura, adesso c’è una forza politica che ha il 30% che è entrata in Parlamento per ridurre i costi della politica. Dovremo provare il finanziamento privato e magari fra vent’anni torneremo indietro.
C’è uno Stato, il Regno Unito che tende a guardare spesso agli USA come sistemi come stile e forse anche politicamente. La situazione è drastica anche lì e specialmente nei confronti dell’Ue con brexit. Sarà proprio l’8 giugno il giorno delle elezioni in Gran Bretagna. Ieri sera l’ennesimo attentato terroristico che non ci si aspettava in un momento come questo. Qual è lo scopo in questo momento dei terroristi? Quando ci si avvicina alle elezioni aumentano attentati e paura. Forse c’è una posizione dei terroristi che vogliono spingere in qualche direzione?
È una domanda che mi sono fatto anch’io. La risposta in Francia sembrava sì. Sembrava che l’Isis auspicasse la vittoria di Marine Le pen perché era la candidata più destabilizzante. In Gran Bretagna questo schema però non si può applicare. Per quanto Corbyn con il labour party stia recuperando nei sondaggi, non è minimamente paragonabile la situazione. Nessuno si aspetta che sia Corbyn il prossimo primo ministro. Tutto però può succedere. Abbiamo visto quest’anno che la politica è imprevedibile. Sembra invece una logica puramente terroristica: nel momento in cui c’è la massima sensibilità e quindi il momento in cui si può destabilizzare di più, questi terroristi colpiscono. Di solito gli esperti di terrorismo e geopolitica dicono che le organizzazioni di questo tipo intensificano gli attacchi in Occidente quanto più sono fragili sul terreno locale. Questo era meno rilevante per organizzazioni come Al Qaeda che era una organizzazione dichiaratamente nata con l’obiettivo principale di colpire l’Occidente. È molto più rilevante invece per lo Stato Islamico che è nato con una base territoriale. Quindi se non prende Mosul in Iraq e quindi se Mosul non cade e non riescono ad arginare la spinta occidentale e chiaro che devono dare prova di forza altrove. Però una risposta definitiva non c’è.
Sempre riguardo al Regno Unito, durante il dibattito pubblico della BBC tra i due candidati Corbyn e May sembra ci sia un vero e proprio accanimento contro i laburisti. È vero?
Veniamo da un paio di anni in cui Jeremy Corbyn è stato presentato come una macchietta, come un candidato borderline, con espliciti riferimento ad alcolismo e droghe da hippie anni ’60 e così via. È uno schema che avevamo già visto però con Bernie Sanders negli USA dove un candidato molto radicale viene presentato come un pazzo che per una serie di coincidenze ha preso il controllo del partito. In realtà ci sono delle dinamiche che spiegano questa ascesa e quindi impongono di prenderlo molto sul serio. Theresa May ha fatto la scommessa di andare ad elezioni subito non solo per rafforzarsi contro l’Ue ma per rafforzarsi anche nei confronti del suo stesso partito. Non era assolutamente scontato che fosse la May a prendere il posto di Cameron un anno fa. C’è stata una faida violentissima nei conservatori che alla fine ha espresso Theresa May. Lei aveva esigenza di rinsaldare il suo partito. Non sembra che questa mossa sia stata azzeccatissima come anche quello di Cameron con il referendum sulla brexit.
Domanda secca. Bernie Sanders avrebbe fatto vincere i democratici fosse stato candidato al posto di Hillary Clinton?
No. Non credo che la politica americana sia solo voto di opinione. Non credo che Hillary Clinton fosse più debole di Sanders. Magari aveva meno consenso tra i giovani ma una solida base nell’establishment. (m.c.)