In vista dell’ultimo appuntamento della rassegna “Avvicinamenti”, vi proponiamo l’intervista con Daniele Gaglianone, regista di “Qui”, documentario sulla TAV. L’incontro col regista, uno dei momenti più significativi della rassegna, è stato un’occasione per parlare del film, ma anche per fare qualche considerazione sui problemi attuali del nostro Paese.
Come mai ha preso a cuore questa causa e come ha conosciuto i dieci “testimoni” protagonisti della pellicola?
Il mio avvicinamento alla vicenda non è stato semplice, in quanto Torino – la città in cui vivo – proprio perché così vicina, è il posto idealmente più lontano dalla valle, anche per colpa della cappa mediatica che ha reso quanto stava accadendo una questione quasi fideistica. Tornando al documentario, conoscevo già prima la causa e molti abitanti della valle, ma raccontarla mi ha permesso di scoprirla in un modo che non mi sarebbe stato possibile altrimenti.
Le testimonianze si allontanano molto dallo stereotipo del No TAV di una persona “non informata sui fatti”.
Chi è lontano dalla valle rimane stupito dal fatto di trovarsi di fronte persone comuni e non dei “rivoltosi di professione”. Il movimento ha messo insieme “gente di tutte le risme”: persone che normalmente si ignorano o addirittura si disprezzano hanno capito che questo sistema è “monnezza” e si sono unite per affrontare un problema contro cui nessuno le aiutava. Penso che questa sia la cosa meno gradita dalle autorità e sia anche la spiegazione a tutti i tentativi di appiattire il tutto su una questione di ordine pubblico.
Che rapporto c'è ora con queste persone?
Penso e spero che ci sia della gratitudine da parte loro nei miei confronti e la cosa è reciproca. Il film è stato il mio modo di aderire alla causa, in modo partigiano ma allo stesso tempo con un distacco che rende ancora più forte il loro racconto.
Cosa pensa lei riguardo alla “vicenda Erri De Luca”?
La cosa che mi ha creato più stupore non è tanto la denuncia in sé, quanto il silenzio codardo e schifoso dell’intellighenzia di sinistra di questo Paese, un silenzio quanto più assurdo se rapportato al fatto che Hollande, la “parte offesa” da De Luca, abbia firmato l’appello degli intellettuali francesi. Penso che la questione della gestione giudiziaria delle vicende della Val di Susa sia quasi da studiare.
Lei è d’accordo con le sue dichiarazioni di militanza e sabotaggio?
Credo che il suo pensiero fosse “Se sabotare vuol dire bloccare un autostrada, allora ho sabotato anch’io”. Io invece ti rispondo in questo modo: se parliamo di sabotaggio, lo dobbiamo fare a 360 gradi. C’è della gente la cui vita è stata sabotata da questo progetto, c’è della gente che ha scoperto per caso che la propria casa deve essere abbattuta: se non è sabotaggio questo, non so cosa possa esserlo.
Tornando alla proiezione, che reazioni si aspetta dal pubblico trentino?
Credo che le persone saranno sorprese dal ritrovare in una vicenda così lontana molte cose che le riguardano in prima persona. “Qui” vuol dire ovunque: si parla della Val di Susa ma si discute di meccanismi che si ritrovano dovunque non ci si senta più rappresentati e ci sia una frattura insanabile tra i cittadini e l’autorità. Frattura che può essere quella dell’Emilia Romagna sfiduciata e disillusa che non va più a votare. Non è solo un documentario sulla Val di Susa, ma anche un documentario sulle pessime condizioni della democrazia moderna.
(intervista di Leonardo Tosi e Angela Sette)
(di Leonardo Tosi)