Nuova_Scena.tn, arriva la serata finale il 7 ottobre (4/4)

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di Nicola Pifferi

Tre brevi spettacoli, ognuno della durata massima di 15 minuti, ognuno messo in scena da una delle tre compagnie teatrali arrivate in finale in questa terza edizione del premio Nuova_Scena.tn, nella serata finale di mercoledì 7 ottobre 2015, presso il Teatro Cuminetti. ArditodesìoEvoè!Teatro La nuda compagnia presenteranno il loro progetto di spettacolo, in una sorta di “trailer” della rappresentazione finale, tentando di convincere una giuria popolare, composta da cento abbonati alle stagioni di prosa del Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento e del Teatro Comunale di Bolzano.

Il Centro, assieme al Teatro Stabile di Bolzano e il Coordinamento Teatrale Trentino ha promosso il bando di gara, lanciato lo scorso aprile, a cui hanno risposto con entusiamo ben 11 compagnie professionali attive in tutta la regione. Il bando aveva una precisa indicazione tematica: “Il XX secolo ha visto il sorgere e il tramontare di grandi utopie; partendo dall’esperienza storica del pensiero filosofico, quale spazio si ritiene possa esservi per l’utopia nel pensiero contemporaneo?”

La risposta è stata caratterizzata da una gran varietà, sia nei temi, sia nella forma, con compagnie molto diverse che hanno optato per approcci alla tematica dell’utopia decisamente distanti fra loro. L’ha confermato anche Francesco Nardelli, direttore del Centro Servizi Culturali Santa Chiara, che ha presieduto la commissione che ha portato alla scelta dei tre spettacoli, in cui sedevano anche Walter Zambaldi, direttore del Teatro Stabile di Bolzano, e Claudia Cannella, direttrice della rivista di teatro “Hystrio”.

Le interviste ai rappresentanti dei tre spettacoli in finale.

Antonella Fittipaldi de La Nuda compagnia”

Il titolo del vostro spettacolo “Verde bugia” è interessante; non ha niente a che vedere con il colore verde, ma quella sostituzione della parola “bugia” è effettivamente molto interessante. Che cos’è che hai sostituito Antonella?

La parola speranza. Quando si dice verde speranza, in realtà ho voluto sostituire la parola “speranza” con la parola “bugia”, per far capire che le speranze che ci hanno dato negli anni sono tutte bugie, come quelle di una guerra che potesse portare la pace o di una rivoluzione ai fini sempre della pace; la pace, la pace, ma la pace non è mai arrivata, le guerre non sono mai finite.  

Un progetto quello di questo spettacolo che ha visto un grande lavoro di ricerca storica, quindi diciamo una scrittura diversa da una scrittura che ci si potrebbe aspettare. La domanda che ho sentito che hai fatto a tutte le persone che hai intervistato in queste grandi interviste è stata: a cosa serve lo sforzo fatto? A cosa serve la guerra? Una risposta quale potrebbe essere?

 

Non riesco a trovare la risposta; forse ho scritto questo spettacolo proprio perchè stavo cercando una risposta e ho pensato che magari facendolo e portando in scena queste mie domande avrei potuto trovare delle risposte, ma non le ho trovate, neanche alla fine dello spettacolo. Credo che le guerre non finiranno mai perchè gli uomini sono fatti cosi, devono dominare, devono arrivare al potere e quindi come si dice “morto un papa se ne fa un altro”, cosi morto un dittatore se ne fa un altro, morto un potente se ne fa un altro.

Un’ultima domanda tornando al tema del progetto in generale del concorso: per voi l’utopia qual è? Qual è l’utopia che volete trasmettere con questo spettacolo?

 

L’utopia è la pace, perchè nel mondo ci sono sempre le guerre da qualche parte e la pace è la vera grande utopia secondo me. Volevo partire raccontando l’utopia per il singolo individuo, non guardando in un aspetto così generico il mondo, ma per la persona singola che si vede perdere tutto, la casa, la famiglia, le persone che ama magari per una bomba o perchè viene assassinato o perchè va al fronte; per quella persona lì non è cambiato niente. A che cosa è servito perdere tutto? Poi magari si ritrova a novant’anni in una casa di riposo da sola e si chiede a cosa sia servito: a niente. Quindi l’utopia nella sua vita e l’utopia in generale.

Emanuele Cerra della compagnia “Evoè!Teatro

Il vostro progetto, in realtà, è quello che parte da una scrittura un po’ più classica rispetto agli altri, quindi non una scrittura fatta direttamente dalla compagnia o dal regista, ma piuttosto un copione di un vero e proprio autore. Il tema è quello dell’utopia, come per il resto del progetto; da cosa siete partiti?

 

Noi siamo partiti da un testo già scritto, del quale però viene fatta una riscrittura nuova. Noi siamo molto legati al tema, ovvero il tema dell’utopia come liberazione dell’essere umano dalla sciavitù del lavoro. “Robot universale” è il titolo di questo lavoro, ovvero un robot inteso come elettrodomestico che, al posto dell’uomo, va e lavora e permette all’uomo di dedicarsi a ciò che più lo realizza, ovvero letteratura, arte, quello che desidera. La distopia, ovvero il crollo dell’utopia, sta nel fatto che poi questo schiavo sviluppa una sua coscienza e un gruppo di esseri umani vogliono liberarlo da questa schiavitù; nel liberarlo da questa schiavitù, il robot si ribella al suo creatore, all’essere umano. Questa considerazione critica dell’utopia, ovviamente, fa riferimento all’utopia del ‘900 e pone la domanda che oggi risulta interessante: dopo aver vissuto tutte queste grandi utopie sarà possibile farne di nuove, dopo averle viste nascere e averle viste fallire?

Nella conferenza stampa hai detto che voi fate parte di un collettivo di diverse compagnie teatrali di tutta Europa. Come siete entrati in questo progetto e cosa può cambiare nel mondo del teatro nella situazione del teatro europeo?

Noi siamo entrati in questo collettivo dopo un’esperienza a Berlino, dove abbiamo lavorato, e siamo stati coinvolti da una di queste compagnie che collabora con noi, ovvero l’ “LMN -Liminale Räume”, diretta da Nadya Grasselli. Siamo stati coinvolti in questo gruppo di lavoro che è finanziato dall’Unione Eurpoea; il progetto è “Youth in action”, per giovani compagnie fino a 35 anni, questo collettivo punta a creare una rete di interscambio di laboratori, progetti, spettacoli a livello europeo. Quello a cui si punta è creare, con le diversità che contraddistinguono l’essenza europea, come lediversità di linguaggio e di cultura, un luogo che può essere un festival o una serie dilavori itineranti a livello dell’Europa, in cui le culture del luogo vengono in contatto attraverso l’arte con culture provenienti da altri paesi; è quindi un progetto di integrazione e conoscenza a livello europeo di tutte le realtà culturali che compongono il nostro continenti. In questo progetto sono coinvolte intanto tredici compagnie: si va dalla Repubblica Ceca a Germania, Francia, Spagna, Inghilterra, Svezia, Danimarca e Italia; questi sono un po’ gli stati più rappresentati. Il progetto ambizioso sarà quello di creare dei luoghi, nei diversi stati, di incontro tra artisti e pubblico.

Andrea Brunello di “Ardito desio”

Voi siete una delle compagnie che sta diventando una delle più importanti nella scena delle tendenze nuove di prosa trentina; un monologo anche questa volta “Pale blue dot”, che fa parte di questo progetto. Come è nato questo monologo? Come è nato questo spettacolo?

Lo spettacolo nasce dal desiderio di poter raccontare quello che per noi è il tema più importante dei nostri giorni, cioè quello dei cambiamenti climatici e della tutela dell’ambiente in una maniera forte, teatrale, che possa avere un senso per l’ascoltatore, per chi viene a vedere lo spettacolo, che possa raccontare e riuscire a trovare una soluzione; putroppo ci guardiamo continuamente attorno e scopriamo che la soluzione esiste, ma non viene mai proposta da chi dovrebbe. Ci sono tanti interessi attorno ai temi dei cambiamenti climatici, interessi delle grandi multinazionali, interessi di chi vende e compra petrolio. Noi crediamo invece che questo debba essere affrontato dalla gente; abbiamo creato così un testo e abbiamo lavorato per poter raccontare la nostra soluzione all’utopia, ma è una soluzione che noi raccontiamo in maniera sofferta ma anche divertita perchè alla fine c’è tanta ironia; l’ironia di un genere umano che fa molta fatica a scendere a patti con una potenziale fine che si prospetta. Quando noi pensiamo che gli scienziati stessi che studiano i temi ambientali dicono che il genere umano è veramente a profono rischio; ecco io credo che dovremmo cominciare a aspettarci che i telegiornali ne parlino, che i giornali ne parlino e invece sembra sempre che solo i film ne parlino, e adesso il teatro. Speriamo di riuscire a fare di più.