Si può vincere una lite senza processo?

Rispondono gli studenti di Trento vincitori del CIM

Oggi, venire a capo di una lite senza ricorrere al processo è una possibilità sempre più diffusa, in Italia e in tutto il mondo. Questa possibilità prende il nome di mediazione. Si tratta dell’attività di un soggetto terzo che, scelto dalle parti, ne comprende e considera le rispettive esigenze allo scopo di mediare nella lite.

Ricorrere ad un mediatore presenta indubbi vantaggi in termini di tempo e di spesa, per il semplice fatto che consente di evitare le spese processuali e il correlato pagamento dell’onorario all’avvocato. A beneficiare della mediazione è poi tutta la macchina giudiziaria, che ne risulta alleggerita e possibilmente più efficace, e con essa, i cittadini che vi si rivolgono.

 Nonostante i suoi certi vantaggi, la mediazione resta, in Italia, un istituto poco usato. D’altronde, la sua introduzione è relativamente recente (nel 2010 è stata approvata la prima legge), a differenza di altri Paesi, in cui l’istituto è più radicato. Giacomo e Jacopo raccontano di esserne venuti a conoscenza nei periodi di studio all’estero, prima ancora che in Italia: tramite un corso attinente durante l’Erasmus a Budapest l’uno, e nel corso del TLP (Trasnational Law Program), attraverso lo studio e la pratica presso uno studio di mediatori a St Louis, l’altro.

Sorge spontanea la domanda: perché tanta lentezza nel Belpaese? Non si stupisce Giacomo, per il quale la lentezza con cui in Italia si reagisce agli stimoli giurisprudenziali provenienti dall'estero è cosa consueta, aggiungendo che motivo della scarsa diffusione è anche la“gelosia” del ceto forense”. Una gelosia, degli avvocati in primis, anzitutto economica: la mediazione, che si chiude in tempi brevi e in cui l’avvocato non è sempre richiesto, ne impoverisce notevolmente i guadagni. Ma anche una chiusura dettata da un fattore culturale, da uno scetticismo diffuso tra avvocati e giudici, per i quali il processo occupa ancora, dice Alessia, un ruolo sacrale e che tuttavia è possibile desacralizzare attraverso “una corretta informazione e conoscenza”. Dello stesso avviso Giacomo, che suggerisce che tale obiettivo vada realizzato attraverso la “promozione dello studio e della ricerca sulla mediazione in sede universitaria”. Un obiettivo che attraverso questa strada Trento persegue da alcuni anni, e a giudicare dagli esiti dei team universitari al CIM (Competizione Italiana di Mediazione), con un notevole successo.  

Il mediatore inoltre non deve essere per forza giurista (necessaria una qualsiasi laurea triennale), né il giurista può sperare di diventare un buon mediatore con le sole competenze accademiche: sono imprescindibili le qualità umane. Non facile il suo compito: secondo Jacopo, egli deve mantenere una posizione neutrale e al contempo entrare in contatto con le parti, essere considerato un alleato al quale confidare i propri interessi e obiettivi, ma non per questo una figura corruttibile. Secondo Alessia e Giovanni, il mediatore ha poi il compito di comprendere le necessità delle parti, che essendo coinvolte emotivamente possono non averle chiare, senza però prevaricarle. Conclude Alessia che necessario è che questa maieutica sia vista come spontanea dalle parti, che queste cioè non percepiscano l’accordo come una forzatura, esito dell’intervento di un estraneo ignaro delle dinamiche interne alla lite.

Per una mediazione spontanea, occorre che essa entri nella cultura degli italiani, e non solo dei giuristi. Ulteriore motivo dello scarso utilizzo dell'istituto è un fattore culturale tutto italiano: l' “esacerbata litigiosità” che ci contraddistingue. Tale aspetto risulta più marcato se si mette l’Italia a confronto con Paesi culturalmente molto diversi, come per esempio America e Cina. Se in America l’istituto della mediazione deve la sua diffusione anche ad un terreno fertile quale la mentalità “individualistica” che contraddistingue gli americani, per i quali far affidamento su se stessi e sui propri sforzi per argomentare il caso (in altre parole l’autonomia individuale) rappresenta un valore più importante di qualsiasi obbligo sociale, in Cina, dove il confucianesimo rappresenta la religione dominante, e l’armonia interpersonale lo scopo cui la società deve tendere, la mediazione è considerata uno strumento informale di riconciliazione delle parti, una pratica connaturata al modo comune di relazionarsi.

L’invito è ad accogliere la sfida, a dare una chance ad un istituto che rischia di trasformare la fisionomia dell’italiano litigioso ( o peggio, dell’italiano “furbetto”), e peraltro, a suo vantaggio. 

 

Ringrazio gli studenti di Trento che hanno dato contenuto all'articolo rispondendo alle mie domande e stimolandone di nuove: Giovanni Acerbi, Alessia Bolognese, Jacopo Meneghin e Giacomo Rigoni.

(Carlotta Garofalo)