Una fake news ante litteram: il “caso” di Simonino da Trento

Il Museo Diocesano Tridentino propone una mostra sul Simonino. Leggiamo cosa ha da dirci la dott.ssa Domenica Primerano, direttrice del museo.

di Martina Bartocci

Il “Simonino”, figlio di un conciapelli che lavorava a Trento, fu un bambino di circa due anni scomparso misteriosamente la sera del 23 marzo 1475 e ritrovato cadavere 3 giorni dopo nei pressi dell’abitazione di una famiglia ebrea. Sulla base di radicati pregiudizi, gli ebrei furono subito ritenuti responsabili del delitto e, processati sotto tortura, furono costretti a confessare. Proprio in virtù del presunto martirio, si cominciò a diffondere la fama dei miracoli che avvenivano grazie al contatto con il corpo del bambino.

Dott.ssa Primerano come è strutturata la mostra?

La mostra presenta diverse sezioni. Quando si entra nella prima sala, l’intento è quello di far conoscere la storia. Si è trattato di un caso di propaganda antisemita alimentata anche dall’iconografia antiebraica. Proprio per questo, l’esposizione presenta un “calendario visivo” che fa vedere come questa accusa fu costruita in pochissimo tempo. Nella sala multimediale invece c’è un tavolo interattivo, dove utilizziamo le fonti storiche per far capire il pregiudizio che gravava sugli ebrei. Questi ultimi, da sempre tacciati di usura, in realtà non potevano svolgere altre attività. Avevano 2 alternative: o svolgere la professione medica o possedere dei banchi di pegno (autorizzati e anzi favoriti dalle autorità locali). Svolgevano un servizio di credito, tra l’altro ad un tasso non elevatissimo, a persone del ceto medio-basso. L’esposizione presenta poi 3 interrogatori in cui vengono riportate le parole esatte dei condannati sottoposti a tortura. La frase ricorrente è “Mettetemi giù” e l’ultimo interrogatorio finisce con queste parole: “Ditemi cosa devo dire”. L’ultima postazione riguarda i miracoli, perché la fama di questo bambino oltrepassò i confini. Tanti pellegrini arrivarono a Trento per ottenere una grazia e, dopo la canonizzazione del culto, iniziarono anche le processioni. A quel punto il discorso dell’antisemitismo passò in secondo piano.

Come cambia dunque la raffigurazione del Simonino nel corso del tempo?

Le rappresentazioni del ‘400/inizio ‘500 sono molto legate al martirio perché si vuole, con la raffigurazione della violenza, fomentare l’odio nei confronti degli ebrei. La seconda iconografia è invece quella del “Trionfo” ed è legata maggiormente alla devozione. Quando c’è l’immagine del piccolo Simone trionfante infatti, il bambino indossa spesso un mantello rosso in ricordo della Passione. Egli diventa il “Miles Christi”.

Quanta consapevolezza c’è oggi sulla storia del Simonino?

Prima della mostra abbiamo sottoposto ai frequentatori abituali del museo un questionario, per capire quanto fosse conosciuta la vicenda. Dalle risposte è emerso che tutti conoscevano la storia del Simonino, ma c’era tanta confusione nello specifico. Il 30% riteneva che il Simonino fosse un bambino ebreo. Ci auguriamo che l’esposizione veicoli maggiore consapevolezza.

 

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